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Blossom. di Silvia Scarrone - ku26@yahoo.com

Le corde pizzicate. Il capotasto. Le chiavi. Le dita. Di lui: Ray.

Le ha lunghe, affusolate, i polpastrelli avvezzi alla pressione. Hanno sviluppato i calli, ormai non sanguinano più.

Le unghie della mano destra sono affilate. Come se suonasse l’arpa, le muove e accarezza lo strumento, come se toccasse la testa della sua bambina: i suoi capelli, fili biondi, spettinati, d’oro.

Un riff continuo.

Lo ripete senza fermarsi.

È un balsamo. Sono note che gli scorrono addosso, gli curano le ferite, come un velo d’acqua lo rivestono di una seconda pelle. Centimetro su centimetro.

I found myself face down in a ditch

Booze in my head

Blood on my lips

A picture of you, holding a picture of me

in the pocket of my blue jeans

Still don't know what love means

Still don't know what love means

Per un attimo ancora stringe la tastiera, lui, poi posa la chitarra sul tappeto e si muove verso lo scrittoio in formica, al centro del monolocale ammobiliato che ha affittato da tre settimane. 1500 dollari al mese. A Seattle. Pioneer Square.

Sua figlia Blossom è ancora una bambina nella foto.

La luce del pomeriggio filtra attraverso le sue mani di padre, che toccano la superficie della cornice e riflettono un’ombra allungata sul piano della scrivania.

Lui, ricorda.

“Guarda papà, faccio la farfalla. Guarda come muovo le gambe. Guarda, papà, guardami! Le mie gambe si sono trasformate in ali colorate! Guardami, papà!”

Le aveva scattato una foto, talmente era bella.

Un ciuffo di capelli le importunava l’occhio destro e lei cercava di farlo stare fermo, quel ciuffo indomabile, con il palmo della mano e umettandolo di saliva.

“Stai ferma, Blossom. Altrimenti la foto viene sfocata!”

La piccola con le mani si teneva i piedi, scalzi e freddi. Gli occhi affamati, la bocca semiaperta, appena sveglia, in canottiera bianca e mutandine di cotone azzurro.

-------

Riprese in mano la chitarra dal tappeto stinto e sporco, l’avrebbe voluto togliere ma serviva a coprire le assi scheggiate del parquet.

Posò la foto di sua figlia che sembrava lo guardasse ancora. Con la solita espressione attonita.

Si sciolse i capelli con un movimento nervoso e gettò sul pavimento l’elastico nero.

Per alcuni istanti tenne gli occhi fissi su quell’istantanea.

Non voleva arrendersi all’idea che quell’immagine … fosse- tutto- ciò- che gli restava di lei.

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